Le offese su Facebook non integrano il reato di diffamazione se il soggetto a cui è diretta l’offesa è in quel momento online
° Sent. Cass. Penale sez. V 44662/2021 del 02 Dicembre 2021
La cassazione ha annullato la sentenza di condanna emessa dalla Corte di appello di Catanzaro sul rilievo che: “la qualificazione del fatto è da ritenersi come ingiuria e non come diffamazione” evidenziando e basando la propria decisione sul fatto che la offesa partecipasse in quel momento alla conversazione via chat tramite bacheca Facebook
l 10 febbraio del 2020 la Corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza di condanna di IP sia ai fini penali e sia civili per aver diffamato NM. La condotta è consistita nel pubblicare su una chat intrattenuta con NM e con altri sulla bacheca Facebook del Movimento 5 Stelle dei commenti sulla parte civile del tenore: “Sei un vero pezzo di merda come pochi … Questo per farvi capire di che pezzo di merda ecc. ecc.”.
La Cassazione, sezione V, con la decisione n. 44662/2021 ha annullato la sentenza di condanna sul rilievo che la condotta in contestazione deve essere riqualificata in ingiuria e non è diffamazione
Ingiuria e diffamazione-differenze
Il primo comma del previgente art. 594 cod. pen., puniva “chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente”. Il secondo comma assoggettava alla stessa sanzione l’offesa dell’onore o del decoro arrecata “a distanza” ossia con comunicazione telegrafica o telefonica o con scritti e disegni diretti alla persona offesa.
Il quarto comma contemplava, infine, un’aggravante nel caso in cui l’offesa fosse commessa in presenza di più persone. Tale aggravante, che presupponeva la presenza di più persone oltre l’offeso, non era riferibile all’ipotesi di ingiuria a distanza, considerata nel ricordato comma secondo dell’art.594.
La norma incriminatrice è stata abrogata per effetto del d. Igs. n. 7 del 2016. Essa, tuttavia, continua a fornire un necessario parametro di riferimento nella tipizzazione del delitto di diffamazione alla luce del successivo art. 595 cod. pen., che tuttora punisce: “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione”.
Ponendo a raffronto il dettato delle norme si ottiene che: – l’offesa diretta a una persona presente costituisce sempre ingiuria, anche se sono presenti altre persone; – l’offesa diretta a una persona “distante” costituisce ingiuria solo quando la comunicazione offensiva avviene, esclusivamente, tra autore e destinatario; se la comunicazione “a distanza” è indirizzata ad altre persone oltre all’offeso, si configura il reato di diffamazione; – l’offesa riguardante un assente comunicata ad almeno due persone (presenti o distanti), integra sempre la diffamazione.
La Corte di cassazione ha affermato, ripetutamente, che la missiva a contenuto diffamatorio diretta all’offeso e ad altri destinatari (almeno due) configura il reato di diffamazione, stante la non contestualità del recepimento delle offese (Sez. 5, n. 18919 del 15 marzo 2016, Laganà, Rv. 266827; Sez. 5, n. 44980 del 16 ottobre 2012, Nastro, Rv. 254044); a seguito dell’abolizione del reato di ingiuria, finisce per confluire nel medesimo orientamento anche quello più tradizionale che ravvisava, in dette comunicazioni, oltre al reato di diffamazione (indubbiamente sussistente) anche, e in concorso con esso, il reato di ingiuria, ora depenalizzato (tra le altre Sez. 5, n. 48651 del 22 ottobre 2009, Nascé, Rv. 245827; Sez. 5, n. 12160 del 4 febbraio 2002, Gaspari, Rv. 221252).
È la nozione di “presenza” dell’offeso ad assurgere a criterio distintivo e tale concetto implica necessariamente la presenza fisica, in unità di tempo e di luogo, di offeso e spettatori ovvero una situazione ad essa sostanzialmente equiparabile realizzata con l’ausilio dei moderni sistemi tecnologici.
L’evoluzione dei mezzi di comunicazione potrebbe ingenerare confusione circa le nozioni di “presenza” e “distanza”, imponendo una riflessione ulteriore.
I numerosi applicativi attualmente in uso per la comunicazione tra persone fisicamente distanti non modificano, nella sostanza, la linea di discrimine tra le due figure come sopra tracciata, dovendo porsi solo una particolare attenzione alle caratteristiche specifiche del programma e alle funzioni utilizzate nel caso concreto.
Molti programmi mettono a disposizione degli utenti una variegata gamma di servizi: messaggistica istantanea (scritta o vocale), videochiamata, chiamate cd. “VoIP” (conversazione telefonica effettuate sfruttando la connessione internet).
Sono state sviluppate diverse piattaforme per convocare riunioni a distanza tra un numero, anche rilevante, di persone presenti virtualmente. Le medesime piattaforme permettono di scrivere, durante la riunione, messaggi diretti a tutti i partecipanti, ovvero a uno o ad alcuni di essi. Per tale ragione il mero riferimento a una definizione generica (chat, cali) o alla denominazione commerciale del programma è, di per sé, privo di significato e foriero di equivoci, laddove non accompagnato dalla indicazione delle caratteristiche precise dello strumento di comunicazione impiegato nel caso specifico.
Come detto, rimane fermo il criterio discretivo della “presenza”, anche se “virtuale”, dell’offeso; occorre dunque ricostruire sempre l’accaduto, caso per caso: se l’offesa viene profferita nel corso di una riunione “a distanza” (o “da remoto”), tra più persone contestualmente collegate, alla quale partecipa anche l’offeso, ricorrerà l’ipotesi della ingiuria commessa alla presenza di più persone (fatto depenalizzato).
È questo, ad esempio, il caso deciso da Sez. 5, n. 10905 del 25/02/2020, Sala, Rv. 278742, che ha qualificato come ingiuria l’offesa pronunciata nel corso di un incontro tra più persone, compreso l’offeso, presenti contestualmente, anche se virtualmente, sulla piattaforma Google Hangouts.