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Le ultime sentenze dalla CassazioneL’efficacia probatoria dei messaggi e chat whatsApp

30 Ottobre 2022

I messaggi whatsapp possono costituire prova tanto in un procedimento civile quanto nel processo penale

Fonti: Sent Cass 19155/2019-17552/2021

Oggigiorno è consuetudine, “chattare” con amici ma anche con  clienti a seguito di conferimento di incarico con imprese, altri professionisti, fornitori, colleghi ecc.

E’ quindi normale chiedersi se la chat /messaggi whatsapp hanno  valore legale, in senso affermativo si era già espressa  la Cassazione [Cass. sent. n. 19155/2019 del 17.7.2019] che ne aveva  sancito il valore probatorio.

Indirizzo confermato con la sentenza Cass n.17552/2021“i messaggi ‘whatsapp’ e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen., sicché è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all’acquisizione di corrispondenza di cui all’art. 254 cod. proc. pen., non versandosi nel caso di captazione di un flusso di comunicazioni in corso, bensì nella mera documentazione ‘ex post’ di detti flussi”. Continua la Suprema Corte evidenziando che “è legittima l’acquisizione come documento di messaggi sms (nel caso di specie, inviati dall’imputato sul telefono cellulare della madre della persona offesa e da questa fotografati e consegnati alla polizia giudiziaria) mediante la realizzazione di una fotografia dello schermo di un telefono cellulare sul quale gli stessi sono leggibili (Sez. 3, n. 8332 del 05/11/2019, dep. 02/03/2020, Rv. 278635), sempre considerando che si trattava di un’attività di mera documentazione, ancorché per immagini, dei medesimi

Tuttavia  la mera produzione documentale – come nella sentenza in commento– non deve ritenersi sufficiente a considerare la stessa prova attendibile e bastevole a giustificare una decisione di responsabilità penale, anche perché facilmente alterabile (ben potrebbe il richiedente l’acquisizione ad es. produrre in formato cartaceo lo screenshot di una conversazione avuta con un terzo al quale ha cambiato nome in rubrica).

Nella medesima occasione, infatti e continuando, gli Ermellini precisano: i) come, nella fattispecie decisa, l’imputato aveva anche ammesso l’autenticità dei messaggi; ii) che tale decisione non risulta smentita da una precedente pronuncia della stessa Sez. V quando questa era chiamata a decidere sulla legittimità del provvedimento con cui il Giudice di merito aveva rigettato l’istanza di acquisizione della trascrizione di conversazioni, effettuate via WhatsApp e registrate da uno degli interlocutori, considerando la sua utilizzabilità invece condizionata all’acquisizione del supporto telematico che li conteneva, avendo, in quel caso, sempre il Giudice di merito, considerato tale ultima ed ulteriore verifica necessaria per valutare, compiutamente, proprio l’attendibilità dei messaggi prodotti.

Si stabiliva appunto nella sentenza n. 49016 del 19.06.2017 che “Deve, infatti, osservarsi che, per quanto la registrazione di tali conversazioni, operata da uno degli interlocutori, costituisca una forma di memorizzazione di un fatto storico, della quale si può certamente disporre legittimamente ai fini probatori, trattandosi di una prova documentale, atteso che l’art. 234 c.p.p., comma 1, prevede espressamente la possibilità di acquisire documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo (in tema di registrazione fonica cfr. Sez. 1, n. 6339 del 22/01/2013, Pagliaro, Rv. 254814; Sez. 6, n. 16986 del 24/02/2009, Abis, Rv. 243256), l’utilizzabilità della stessa è, tuttavia, condizionata dall’acquisizione del supporto – telematico o figurativo contenente la menzionata registrazione, svolgendo la relativa trascrizione una funzione meramente riproduttiva del contenuto della principale prova documentale (Sez. 2, n. 50986 del 06/10/2016, Rv. 268730; Sez. 5, n. 4287 del 29/09/2015 – dep. 2/02/2016, Pepi, Rv. 265624): tanto perché occorre controllare l’affidabilità della prova medesima mediante l’esame diretto del supporto onde verificare con certezza sia la paternità delle registrazioni sia l’attendibilità di quanto da esse documentato”.

La questione della valutazione di attendibilità della prova de quo non è di poco conto bensì molto delicata in quanto, se per un verso, dal dato letterale dell’art. 234, comma 1, c.p.p., la prova documentale appare sicuramente idonea ad attrarre nel proprio alveo ogni rappresentazione di un fatto mediante “qualsiasi […] mezzo”; per l’altro verso, si intravede il reale pericolo che la generalizzata riconducibilità di stampe o supporti cartacei al genus del documento finisca per risolversi in un espedienteper eludere il controllo sull’autenticità delle informazioni digitali ivi incorporate. Un’autenticità invece garantita da diverse disposizioni della Novella del 2008 (che occupa più prettamente di dati informatici e non documenti), ma sconosciuta alla norma contenuta nell’art. 234 c.p.p.

Insomma, l’utilizzabilità di una tale prova, se acquisita mediante mera produzione fotografica, necessita di altri elementi che ne comprovino l’attendibilità. Tuttavia, non può farsi a meno di evidenziare come il meccanismo diretto ad una valutazione di attendibilità che si delinea intorno alla prova documentale mostra almeno due lacune: per un verso, introduce un incombente dimostrativo anomalo, che si colloca al di fuori del nostro Ordinamento processuale; dall’altra parte, lascia intravedere eccessivi spazi di discrezionalità dell’organo giudicante, privo di parametri normativi volti a regolare  il controllo di affidabilità dell’evi­denza digitale, la cui mancanza non può essere compensata da criteri di valutazione “rafforzata” della prova.

Ora, però, mantenendo ferma  la giurisprudenza, ormai granitica, nel considerare le conversazioni così intrattenute una forma di memorizzazione di un fatto storico costituenti una prova documentale, resta la necessaria valutazione di altri elementi in soccorso al Giudice che deve valutare l’attendibilità della prova, nonché la difficoltà di fatto di acquisire diversamente le chat WhatsApp per quanto detto in premessa (intercettazioni piuttosto che consegna del gestore dell’applicazione del contenuto delle conversazioni), la stessa ha avuto modo di approfondire sull’acquisizione in altre forme.

 

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