La rilevanza penale della stampigliatura «made in Italy» su prodotti e merci non di origine italiana o non prodotti in Italia
Sent. Cassazione terza sezione penale n.23850 del 2022 -Articolo tratto da Njus.it-
Con la sentenza n. 23850 del 3 maggio 2022 (dep. 21 giugno 2022), la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha fatto il punto sulla rilevanza penale della stampigliatura «made in Italy» su prodotti e merci non originari dall’Italia ai sensi della normativa europea sull’origine.
Ai sensi dell’art. 4, comma 49, L. 24 dicembre 2003, n. 350 (così modificato dal comma 9 dell’art. 1, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, dall’art. 2-ter, D.L. 30 settembre 2005, n. 203, aggiunto dalla relativa legge di conversione, dal comma 941 dell’art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296, dal comma 4 dell’art. 17, L. 23 luglio 2009, n. 99 – successivamente abrogato dal comma 8 dell’art. 16, D.L. 25 settembre 2009, n. 135 – e, dal comma 5 dell’art. 16, D.L. 25 settembre 2009, n. 135, con la decorrenza indicata nel comma 7 dello stesso articolo 16) l’importazione e l’esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell’art. 517 c.p.. Costituisce falsa indicazione la stampigliatura «made in Italy» su prodotti e merci non originari dall’Italia ai sensi della normativa europea sull’origine; costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l’origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l’uso di segni, figure, o quant’altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l’uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli, fatto salvo quanto previsto dal comma 49-bis.
Secondo la Cass. pen., sez. III, 14 giugno 2016, n. 54521, integra la condotta punibile quella realizzata: a) mediante la stampigliatura “made in Italy” su prodotti e merci non originari dall’Italia ai sensi della normativa europea sull’origine che integra la fattispecie di “falsa indicazione” dell’origine ed è punibile ai sensi dell’art. 517 c.p. (Cass. pen., sez. III, 24 aprile 2013, n. 39093);
b) mediante l’utilizzo di un’etichetta del tipo “100% made in italy”, “100% Italia”, “tutto italiano” o “full made in Italy”, per contrassegnare prodotti non interamente disegnati, progettati, lavorati e confezionati nel nostro Paese, costituendo la stessa un’ipotesi aggravata di “falsa indicazione” dell’origine, punibile, ai sensi del combinato disposto del D.L. n. 135 del 2009, art. 16, comma 4, e dell’art. 517 c.p., con le pene previste da quest’ultima disposizione, aumentate di un terzo, che rende questa previsione speciale rispetto alla precedente, di portata generale (Cass. pen., sez. III, 5 aprile 2011, Sez. 3, n. 28220);
c) mediante “l’uso di segni, figure e quant’altro” che induca il consumatore a ritenere, anche in presenza dell’indicazione dell’origine o provenienza estera della merce, che il prodotto sia di origine italiana, trattandosi esemplificativamente dei casi in cui sul prodotto sono apposti segni e figure tali da oscurare, fisicamente e simbolicamente, l’etichetta relativa all’origine, rendendola di fatto poco visibile e non individuabile all’esito di un esame sommario del prodotto, realizzandosi in questo caso la fattispecie di “fallace indicazione”, punibile ai sensi dell’art. 517 c.p. (Cass. pen., sez. III, 9 febbraio 2010, n. 19746); d) mediante l’uso ingannevole del marchio aziendale da parte dell’imprenditore titolare o licenziatario, in modo “da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull’origine”, a meno che i prodotti importati o esportati non siano accompagnati da indicazioni “evidenti” sull’esatta origine geografica o sulla loro provenienza estera.